Gli ispettori del ministero della Giustizia sono pronti a valutare il caso di Marco Patarnello.
Per il governo la vicenda del sostituto procuratore della Cassazione, che in una mailing list dell’Anm aveva definito ‘pericolosa’ la premier Meloni, è tutt’altro che chiuso. In un clima già infuocato dalle polemiche sulle decisioni del tribunale di Roma per i migranti del centro italiano in Albania, ora è lo stesso Guardasigilli ad annunciare che l’episodio di Patarnello “è al vaglio per la verifica dei presupposti per l’esercizio dei poteri ispettivi che la legge riserva al ministro”.
E al momento, da fonti giudiziarie, viene ritenuto molto probabile che anche la procura generale della Cassazione abbia aperto in merito un fascicolo definito ‘pre-disciplinare’ allo scopo di un accertamento preventivo. In un caso o nell’altro, se le procedure dovessero andare avanti senza essere archiviate, il sostituto procuratore rischierebbe un processo davanti alla sezione disciplinare del Csm. Nordio al momento è deciso ad andare avanti per quelle parole che destano “non poco stupore e, come ex magistrato, non poco dolore: affermare che il presidente del Consiglio, proprio perché non ha inchieste giudiziarie a suo carico, è un pericolo maggiore di Berlusconi” e dunque ” ‘dobbiamo porvi rimedio’ sono frasi di una gravità da prendere in considerazione. È molto indicativo, per la provenienza di tale affermazione, del clima istituzionale che vive la nostra democrazia”, afferma il ministro al question time alla Camera.
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Il messaggio, inviato dal magistrato lo scorso 19 ottobre nella piattaforma dell’Associazione nazionale magistrati, era stato poi pubblicato in questi giorni dalla stessa Meloni attraverso i social. Dopo giorni di dure contrapposizioni, in queste ore il presidente dell’Anm, Giuseppe Santalucia, ha tentato di gettare acqua sul fuoco, chiarendo: “Non c’è nessun pericolo, il termine ‘pericolosa’ non è assolutamente adeguato. L’affermazione di Patarnello si presta ad equivoci”. Accantonando le reciproche accuse, il sindacato delle toghe chiede di riallacciare un dialogo sereno con l’esecutivo, chiedendo al governo di tornare a parlare “con la magistratura nei termini di un doveroso rispetto nella comunicazione istituzionale del Paese”.
Il solco segnato è però molto più profondo e datato di quanto sembra. “Quando sono entrato in magistratura nel 1976 il prestigio di questa godeva del consenso dell’oltre 80% dei cittadini italiani, pari e qualche volta superiore a quello addirittura della Chiesa cattolica. Oggi è precipitato e, per rispetto verso i miei ex colleghi, non lo voglio nemmeno citare”, rincara Nordio. Come se non bastasse – attraverso una lettera indirizzata al presidente del Consiglio e al Guardasigilli – dall’Associazione europea magistrati arriva l’ennesimo disappunto, con una nuova esortazione all’Italia a rinunciare ai propositi di provvedimenti per la separazione delle carriere dei magistrati. Inoltre – proseguono – “il potere disciplinare è un compito centrale attribuito all’organo di governo autonomo della magistratura: il suo esercizio può incidere sulla progressione di carriera dei magistrati e deve trovare un equilibrio tra i principi di responsabilità, indipendenza e giusto processo. L’esercizio del potere disciplinare non deve essere orientato da ingerenze politiche esterne”. In questo clima Marina Berlusconi, a margine di un evento commenta: “Certi giudici non sono nemici di mio padre o della Meloni, ma sono nemici del Paese”, mentre Marcello Dell’Utri, ai giornalisti che gli chiedono se lo scontro tra governo e magistratura ricordi quello tra Berlusconi e i giudici, risponde: “forse sì, ma non saprei dirlo”. E sul Cav commenta: “Un po’ mi manca”.
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